CROI 2022: Screening e trattamento precoce per ridurre il cancro anale nelle persone HIV-positive, Venerdì 18 febbraio 2022

Screening e trattamento precoce per ridurre il cancro anale nelle persone HIV-positive

Il prof. Joel Palefsky a CROI 2022.
Il prof. Joel Palefsky a CROI 2022.

Lo screening delle lesioni precancerose del canale anale e il loro trattamento precoce riduce del 57% il rischio di progressione in cancro nelle persone HIV-positive: questi i risultati di un importante studio clinico presentato questa settimana alla Conferenza su Retrovirus e Infezioni Opportunistiche (CROI 2022).

Tra le persone con infezione da HIV, l'incidenza del cancro anale è più alta rispetto alla popolazione generale. Questo tipo di neoplasia – come anche il cancro del collo dell’utero – è causata dal papillomavirus umano (HPV), un virus in grado di causare alterazioni cellulari anomale che possono progredire in displasia precancerosa (detta anche lesione intraepiteliale squamosa di alto grado, o HSIL) e cancro invasivo.

Lo screening e il trattamento precoce hanno mostrato di ridurre drasticamente i tassi di prevalenza e mortalità del cancro cervicale, ma non sono interventi compresi negli standard di cura per le persone a rischio di cancro anale. La ragione, ha spiegato il prof. Joel Palefsky alla Conferenza, è che finora mancavano evidenze della loro efficacia.

Lo studio ANCHOR (Anal Cancer HSIL Outcomes Research) ha arruolato persone HIV-positive di età uguale o superiore ai 35 anni in 15 città degli Stati Uniti. Tra il settembre 2014 e l’agosto 2021, 10.723 persone sono state sottoposte a screening per HSIL con esame citologico (Pap test anale) e anoscopia ad alta risoluzione. In caso si individuassero lesioni sospette, si procedeva a eseguire una biopsia.

Sono state riscontrate HSIL in oltre metà degli individui considerati (e segnatamente nel 53% degli uomini, 46% delle donne e 63% delle persone transgender), e in 17 casi gli accertamenti hanno portato a una diagnosi di cancro anale preesistente.

I partecipanti con HSIL sono stati randomizzati per essere trattati immediatamente – nella maggior parte dei casi con una procedura di rimozione delle lesioni per mezzo di elettricità o calore – oppure ricevere un monitoraggio attivo ogni sei mesi.

Lo studio è stato interrotto prima del previsto nell'ottobre 2021, dopo che un'analisi ad interim ha evidenziato il chiaro beneficio di screening e trattamento precoce. Nel braccio di intervento hanno ricevuto una diagnosi di cancro anale invasivo solo nove persone contro le 21 del braccio di controllo, per una riduzione del rischio del 57% nel gruppo che ha ricevuto lo screening più il trattamento precoce.

"È la prima dimostrazione effettiva che screening e trattamento riducono il rischio di cancro anale", ha commentato il dott. Palefsky. "È mio parere che i dati supportino l'inclusione [di queste misure] negli standard di cura per le persone HIV-positive al di sopra dei 35 anni".

Questo studio ha preso in considerazione solo persone con infezione da HIV, ma con tutta probabilità i suoi risultati saranno applicabili anche ad altri gruppi esposti a un aumentato rischio di cancro anale, come gli uomini HIV-negativi che hanno rapporti sessuali con altri uomini, le donne che hanno avuto un cancro del collo dell’utero o altri tumori HPV-correlati, e le persone immunosoppresse.


Il trattamento molto precoce può portare alla remissione dell’HIV nei bambini?

La dott.ssa Deborah Persaud (in alto a destra) a CROI 2022.
La dott.ssa Deborah Persaud (in alto a destra) a CROI 2022.

Quasi un terzo dei bambini HIV-positivi trattati con una terapia antiretrovirale (ART) subito dopo la nascita continua a non presentare tracce di anticorpi HIV a due anni di distanza, si apprende da uno studio presentato a CROI 2022.

Nel 2013 era stato reso noto il caso di quella che sarebbe stata soprannominata 'la bambina del Mississippi’, che per oltre un anno era riuscita spontaneamente a mantenere irrilevabile la carica virale dopo aver ricevuto una terapia antiretrovirale 30 ore dopo la nascita. Allora si era sperato che i bambini potessero essere i primi a beneficiare di quella che è nota come “cura funzionale”, in cui l’HIV viene soppresso al punto tale che non torna più rilevabile. Dopo 27 mesi senza assumere farmaci, però, l’HIV è tornato rilevabile nell’organismo della bambina.

Da allora sono stati osservati i casi di pazienti adulti in grado di controllare spontaneamente la riattivazione della replicazione virale dopo aver sospeso la terapia (i cosiddetti post-treatment controllers), che hanno consentito di raccogliere maggiori informazioni circa i meccanismi che tengono a bada l’HIV.

A CROI 2022, la dott.ssa Deborah Persaud della Johns Hopkins University ha presentato i risultati di uno studio condotto su due coorti di bambini. La prima era composta da 34 bambini ad alto rischio di infezione (perché nati da madri con HIV non trattato) a cui è stata somministrata la ART entro 48 ore dalla nascita ancor prima di eseguire un test che confermasse la loro positività all’infezione. La seconda coorte comprendeva 20 bambini che erano stati sottoposti al test e hanno iniziato la ART sempre entro 48 ore dalla nascita.

Il regime somministrato comprendeva nevirapina, lopinavir/ritonavir e due inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa.

I bambini continuavano a far parte dello studio se presentavano valori di carica virale inferiori a 200 a 24 settimane e inferiori a 20 a 48 settimane. Alla 24° settimana, il 75% dei componenti della prima coorte e l'88% di quelli della seconda coorte avevano una carica virale sotto le 200 copie, mentre rispettivamente il 48% e il 40% erano già scesi sotto le 20.

A due anni di età, 10 dei 12 bambini ancora facenti parte della prima coorte e tutti e sette i bambini della seconda coorte risultavano negativi all’esame degli anticorpi anti-HIV, mentre sette bambini della prima coorte e cinque della seconda non presentavano livelli rilevabili di HIV-DNA provirale.

Queste caratteristiche danno motivo di pensare che i bambini di questo gruppo (che rappresentano quasi il 30% dei 54 originari), in caso di sospensione del trattamento, possano riuscire a mantenere spontaneamente la carica virale soppressa come i post-treatment controllers. Persaud e la sua equipe stanno ora valutando le modalità per interrompere in sicurezza la somministrazione dei farmaci.


India, l’offerta di assistenza virtuale aumenta l’adesione all’autotest HIV

Master the moment/Shutterstock.com
Master the moment/Shutterstock.com

L’offerta di un servizio di assistenza virtuale in India si è dimostrato un utile strumento per promuovere l’adesione da parte di alcune popolazioni chiave al test HIV, sia del tipo fai-da-te che quelli eseguiti da operatori sanitari in struttura: è quanto emerge da uno studio presentato a CROI 2022.

In India, una persona HIV-positiva su quattro non è consapevole del proprio status HIV, e lo scoppio della pandemia di COVID-19 ha ulteriormente rallentato l’adesione al test nel paese.

Nella seconda metà del 2021, degli operatori selezionati all’interno di gruppi di popolazione chiave hanno preso contatti con 9691 adulti in India attraverso app di appuntamenti e piattaforme social, indirizzandoli a un sito web su cui potevano ordinare un kit per l’autotest HIV. L'autotest poteva essere eseguito autonomamente o con l'assistenza dell’operatore in collegamento telefonico o video-chiamata.

Quasi un quarto di coloro che si sono registrati ha poi ordinato un kit per l’autotest HIV, e il 92% ne ha caricato il risultato sul sito. Tutti coloro che hanno fatto l'autotest si sono autoidentificati come appartenenti a una popolazione chiave: il 79% erano uomini omo- e bisessuali, l’8% persone transgender, l’11% sex worker e il 2% consumatori di sostanze stupefacenti per via iniettiva.

Lo studio ha registrato un tasso di positività al test HIV del 5% tra i partecipanti che hanno optato per un autotest (percentuale che sale al 7% nelle persone transgender). Si tratta di un tasso significativamente più alto di quello rilevato nella maggior parte delle popolazioni chiave in India.

Degli 86 individui risultati positivi al test, tuttavia, soltanto 49 hanno provveduto a eseguire il test di conferma, e soltanto 35 di loro hanno poi iniziato una terapia antiretrovirale.

In un secondo studio è stata sperimentata un’altra modalità di sfruttare la rete per sensibilizzare sull’adesione al test: da ottobre 2019 a settembre 2021 sono stati pubblicati online degli annunci a pagamento che hanno raggiunto 9355 adulti a cui è stato offerto un test HIV in una struttura sanitaria privata o pubblica. A rispondere agli annunci sono stati prevalentemente uomini omo- e bisessuali (83%).

In questo studio, tre quarti (73%) di coloro che sono risultati positivi non avevano mai fatto un test HIV prima. Hanno eseguito il test di conferma il 73% degli individui coinvolti, e il 69% di loro è stato poi preso in carico per iniziare la terapia antiretrovirale.


L’efavirenz in gravidanza interferisce con l’accrescimento del bambino più del dolutegravir

La dott.ssa Lynda Stranix-Chibanda (in basso a destra) a CROI 2022
La dott.ssa Lynda Stranix-Chibanda (in basso a destra) a CROI 2022

Dai dati raccolti da uno studio clinico randomizzato presentato a CROI 2022 emerge un ulteriore elemento che fa propendere per la somministrazione del dolutegravir in gravidanza al posto dell’efavirenz: si sono infatti osservati meno casi di bambini di peso o statura anormali a un anno d’età.

Nei paesi ad elevata prevalenza di HIV, un numero significativo di bambini nasce da madri HIV-positive, e diversi studi hanno osservato che questi bambini crescono più stentatamente e presentano altri problemi di salute. È difficile distinguere in che misura questo fatto sia causato dagli effetti dell'esposizione all'HIV, dell'esposizione agli antiretrovirali o delle difficili condizioni sociali.

Lo studio presentato alla Conferenza è stato disegnato per confrontare sicurezza ed efficacia di tre regimi antiretrovirali somministrati a donne in gravidanza e allattamento in Botswana, Brasile, India, Sudafrica, Tanzania, Thailandia, Uganda, Stati Uniti e Zimbabwe.

Le 643 partecipanti sono state randomizzate per ricevere dolutegravir (DTG), tenofovir alafenamide (TAF) ed emtricitabina (FTC); oppure DTG, tenofovir disoproxil fumarato (TDF) e FTC; oppure ancora efavirenz, TDF e FTC.

I bambini con lunghezza/altezza-per-età è superiore alle due deviazioni standard al di sotto della mediana dello standard di crescita infantile stabilito dall'Organizzazione Mondiale della Sanità sono considerati sotto-statura ("stunted"). Un numero cospicuo di neonati in tutti i bracci dello studio rientrava in questa classificazione, il che evidenzia l’ampia diffusione del problema tra i bambini nati da donne HIV-positive e anche nel resto della popolazione di molti paesi a basso e medio reddito. Ma la crescita stentata è stata osservata più frequentemente quando madri assumevano l’efavirenz (21%) piuttosto che il dolutegravir, mentre non si sono registrate differenze rilevanti tra le madri trattate con dolutegravir in combinazione con TDF o TAF (14% e 13%).

Analogamente, alla 50° settimana, risultavano sottopeso l’11% dei bambini del braccio dell’efavirenz, contro il 3% e il 6% di quelli dei due bracci del dolutegravir

Secondo gli autori dello studio le possibili interferenze con la crescita del bambino sono un elemento da tenere in considerazione per individuare il regime antiretrovirale ottimale da somministrare alle madri in gravidanza e allattamento.


PrEP, confermata dopo quasi cinque anni la superiorità del regime iniettabile con cabotegravir

Il prof. Raphael Landovitz (in basso a sinistra) a CROI 2022.
Il prof. Raphael Landovitz (in basso a sinistra) a CROI 2022.

A CROI 2022 è stato presentato un aggiornamento su HPTN 083, lo studio che ha stabilito la superiorità – in uomini omo-e bisessuali e donne trans – di un regime di PrEP (profilassi pre-esposizione, ossia l’assunzione regolare di farmaci per prevenire l’infezione da HIV) somministrato per via iniettiva una volta ogni due mesi rispetto all’assunzione quotidiana dei farmaci per via orale.

Per HPTN 083 sono stati reclutati 4566 partecipanti in Stati Uniti, America Latina, Thailandia e Sud Africa, che sono stati randomizzati per ricevere un'iniezione di cabotegravir ogni due mesi (dopo cinque settimane di assunzione di cabotegravir per via orale) oppure assumere la PrEP ogni giorno per via orale con tenofovir disoproxil fumarato più emtricitabina (TDF/FTC). Un partecipante su otto era una donna transgender; due terzi avevano meno di 30 anni all’ingresso nello studio e metà dei partecipanti statunitensi erano neri.

La fase dello studio in cieco e controllato con placebo è durata 3,4 anni. I partecipanti hanno ricevuto o iniezioni con principio attivo e pillole placebo oppure, viceversa, iniezioni placebo e pillole con principio attivo. Quando i risultati dello studio sono stati resi noti, a maggio 2020, i partecipanti sono stati informati con quale tipo di PrEP erano stati trattati, e potevano continuare ad assumerla.

Oggi sono disponibili dati relativi a quattro anni e mezzo di sperimentazione, e la superiorità dell’efficacia del cabotegravir assunto per via iniettiva è rimasta pressoché invariata.

Il ricercatore a capo dello studio, il prof. Raphael Landovitz, ha riferito che durante il primo anno della fase in aperto si sono verificati 31 eventi di infezione nei partecipanti che assumevano TDF/FTC contro solo 11 in quelli trattati con cabotegravir.

Se si combinano gli eventi verificatisi nelle fasi in cieco e in aperto, invece, nel braccio del TDF/FTC si sono osservate 72 infezioni contro le 25 del braccio del cabotegravir – per un’efficacia complessiva del 66% di infezioni in meno tra i partecipanti che assumevano il regime iniettabile rispetto al regime orale. È un dato comparabile a quello osservato l’anno scorso per la fase in cieco dello studio. Nella fase in aperto l’aderenza ai regimi da parte dei partecipanti è calata, ma in ambo i bracci allo stesso modo.

Landovitz ha definito “rimarchevole” questa costante superiorità del regime iniettabile rispetto a quello orale.


Tassi di vaccinazione COVID-19 nella popolazione HIV+ analoghi a quelli della popolazione generale

Evelynne Fulda (in basso a destra) a CROI 2022.
Evelynne Fulda (in basso a destra) a CROI 2022.

L’adesione alla campagna vaccinale anti-COVID-19 da parte della popolazione HIV+ sta seguendo un andamento simile a quello osservato nella popolazione generale, con notevoli disparità all’interno dei singoli paesi e tra paese e paese: sono i risultati di uno studio presentato a CROI 2022.

Evelynne Fulda del Massachusetts General Hospital e la sua equipe hanno analizzato i dati relativi ai partecipanti di REPRIEVE, uno studio internazionale mirato a valutare l'efficacia della terapia con statine come strategia di prevenzione degli eventi cardiovascolari in persone HIV-positive di età compresa tra 40 e 75 anni.

I ricercatori hanno considerato il numero complessivo di persone che hanno ricevuto almeno una dose di vaccino COVID-19 nel periodo tra gennaio e dicembre 2021 tra 6951 partecipanti attivi di RETRIEVE, confrontando il dato con quello registrato per la popolazione generale.

I tassi di vaccinazione COVID-19 tra le persone HIV-positive variavano invece in modo  sostanziale da regione a regione. A dicembre 2021, l'adesione alla campagna vaccinale superava il 70% in tutte le regioni, con la notevole eccezione dell'Africa sub-sahariana, dove è rimasto fermo al 48%. A fine anno il tasso più elevato è stato quello registrato nel sud-est asiatico (il 93% della Thailandia), che aveva superato quelli raggiunti in paesi ad alto reddito come Stati Uniti, Canada e Spagna.

I tassi di vaccinazione sono risultati sostanzialmente simili tra i partecipanti a REPRIEVE e la popolazione generale in ogni regione, e le disparità all'interno della coorte riflettono anche alcune di quelle osservate nel resto della popolazione. L'adesione è risultata più elevata tra i partecipanti bianchi, anche nelle analisi effettuate all'interno delle regioni ad alto reddito e dell'America Latina / dei Caraibi.

Fulda ha concluso che i dati di REPRIEVE mostrano un potenziale rischio di maggiore morbilità da COVID-19 all’interno dei sottogruppi più vulnerabili di persone che vivono con l'HIV.