IAS 2021: Un trattamento più efficace per la meningite criptococcica, Mercoledì 28 luglio 2021

Un trattamento più efficace per la meningite criptococcica

Il dott. David Lawrence (in basso a sinistra) durante il suo intervento a IAS 2021.
Il dott. David Lawrence (in basso a sinistra) durante il suo intervento a IAS 2021.

In uno studio condotto in Africa sub-sahariana, l’assunzione di amfotericina B liposomiale in un’unica somministrazione ad alto dosaggio è risultata efficace quanto il trattamento standard per la meningite criptococcica associata ad infezione da HIV. Dallo studio emerge anche che questo regime sarebbe molto più agevole da somministrare e significativamente meno impattante in termini di effetti collaterali.

I risultati sono stati presentati la scorsa settimana all’11° Conferenza dell’International AIDS Society sulla ricerca in materia di HIV (IAS 2021).

Il Cryptococcus è un fungo patogeno in grado di causare un'infezione opportunistica nelle persone affette da HIV con una conta dei CD4 inferiore a 100; l'infezione spesso evolve in meningite, un pericoloso rigonfiamento della membrana che avvolge il cervello e il midollo spinale. La meningite criptococcica è una delle principali cause di morte AIDS-correlata, seconda solo alla tubercolosi.

Il trattamento standard della meningite criptococcica impone la degenza ospedaliera, poiché prevede la somministrazione di amfotericina B per infusione endovenosa, per sette giorni. Nei contesti poveri di risorse non è talora possibile garantire l’esecuzione del trattamento in sicurezza, e in alcuni casi i costi sono semplicemente proibitivi.

Un piccolo studio aveva già dimostrato l’efficacia, per i pazienti con HIV, di una singola dose elevata di amfotericina B somministrata in una formulazione "liposomiale", in cui cioè il principio attivo è veicolato tramite particelle di piccolissime dimensioni simili a grassi (i liposomi), che l’organismo riesce più facilmente ad assorbire.

L’indagine presentata a IAS 2021 ha testato questo regime in uno studio più ampio, che ha coinvolto otto ospedali in Uganda, Malawi, Zimbabwe, Botswana e Sudafrica, reclutando 814 partecipanti con meningite criptococcica HIV-associata.

I partecipanti sono stati randomizzati per ricevere il trattamento standard (somministrazione di 1mg/kg di amfotericina B per via endovenosa associata ad assunzione orale di flucitosina per sette giorni, seguiti da altri sette giorni di fluconazolo ad alto dosaggio per via orale) oppure il trattamento sperimentale (una sola somministrazione di 10 mg/kg di amfotericina B in formulazione liposomiale, seguita da 14 giorni di assunzione orale di flucitosina e fluconazolo). Tutti hanno ricevuto la stessa terapia di consolidamento e mantenimento con fluconazolo per via orale.

Alla decima settimana, il regime sperimentale è risultato non inferiore in termini di mortalità e ha mostrato di offrire chiari benefici per la sicurezza, tra cui tassi significativamente più bassi di anemia e una ridotta necessità di trasfusioni di sangue.

L'accesso alla formulazione liposomiale resta tuttavia limitato nei paesi a basso e medio reddito. Di fronte a questi risultati, Medici Senza Frontiere (MSF) ha fatto appello a Gilead Sciences perché garantisca un’adeguata fornitura globale del trattamento e tenga bassi i prezzi di accesso.


Prevenzione HIV, adolescenti e giovani donne riescono a utilizzare efficacemente gli anelli vaginali e ad aderire alla PrEP orale

La dott.ssa Lulu Nair durante il suo intervento a IAS 2021.
La dott.ssa Lulu Nair durante il suo intervento a IAS 2021.

Se sostenute con interventi mirati a migliorare l’aderenza terapeutica, le adolescenti e le giovani donne riescono a fare correttamente uso sia dell’anello vaginale a rilascio di dapivirina e ad assumere adeguatamente i regimi di PrEP orale: è quanto emerge da uno studio presentato IAS 2021.

Nel gennaio 2021, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha raccomandato l'anello vaginale – un dispositivo in silicone che rilascia lentamente l'inibitore non nucleosidico della trascrittasi inversa dapivirina – come opzione di profilassi aggiuntiva per le donne esposte a rischio elevato di contrarre l’infezione da HIV.

L'analisi di precedenti studi in Africa ha mostrato che sia l'anello che la PrEP orale (farmaci assunti regolarmente per prevenire l'infezione da HIV) erano efficaci per le donne quando l'aderenza era elevata, ma molte donne, specialmente se giovani, hanno incontrato difficoltà a seguire correttamente questi metodi profilattici.

Uno studio condotto in Sudafrica, Uganda e Zimbabwe ha arruolato 247 adolescenti e giovani donne di età compresa tra i 16 e i 21 anni. Le partecipanti sono state divise in due gruppi, uno che ha utilizzato l’anello vaginale per sei mesi (un anello al mese) per poi passare alla PrEP orale (tenofovir disoproxil ed emtricitabina) per sei mesi, e l’altro che ha fatto ricorso ai due metodi nell'ordine opposto.

Le partecipanti hanno potuto anche usufruire di una serie di interventi volti a stimolare l’aderenza: sono stati loro inviati promemoria quotidiani attraverso messaggi di testo, ricevevano telefonate o messaggi di controllo una volta alla settimana, erano in contatto sia con altre ragazze che con gruppi di supporto e professionisti di counselling che le aiutavano a seguire correttamente la profilassi.

Dai risultati intermedi emerge che entrambi i metodi sono generalmente sicuri e ben tollerati. Metà delle partecipanti che usavano l’anello l’ha portato per un mese intero, mentre nell’altro braccio di studio meno di un quarto delle ragazze ha assunto almeno sei dosi a settimana di tenofovir disoproxil ed emtricitabina.

Un altro studio ha dimostrato la sicurezza sia dell'anello che della PrEP per le donne in gravidanza, una popolazione ancora poco indagata negli studi per la prevenzione dell'HIV.

Lo studio ha arruolato 150 ragazze e donne di età compresa tra i 18 e i 40 anni in Malawi, Sudafrica, Uganda e Zimbabwe, assegnate casualmente a fare uso dell’anello vaginale mensile o ad assumere quotidianamente la PrEP dalle fasi finali della gravidanza fino al parto. Entrambi i metodi di prevenzione sono risultati sicuri, mentre le complicanze sono state infrequenti e comunque paragonabili ai tassi locali.


Nuova terapia con due anticorpi almeno in parte efficace contro un ceppo virulento di HIV nei primati

Zachary Strongin durante il suo intervento a IAS 2021.
Zachary Strongin durante il suo intervento a IAS 2021.

Una nuova terapia basata sull’associazione di due anticorpi attivi contro proteine ospiti che contribuiscono a perpetuare l’infezione da HIV ha mostrato di ridurre la carica virale in primati con infezione cronica di un ceppo molto aggressivo di un virus analogo all’HIV, si è appreso la settimana scorsa a IAS 2021.

I due anticorpi neutralizzano l’azione di due diverse proteine antinfiammatorie, l’interleuchina 10 (IL-10) e la PD-1.

La terapia è stata sperimentata su 28 macachi rhesus a cui è stata somministrata una terapia antiretrovirale (ART) a partire da sei settimane dopo averle infettate con una variante del virus dell'immunodeficienza simiana. Gli esemplari sono stati divisi in tre gruppi: il primo è stato usato come gruppo di controllo, e gli otto animali che ne facevano parte hanno ricevuto solo la ART fino alla 77° settimana di sperimentazione.

Nel secondo gruppo, composto da dieci macachi, a partire dalla 65° settimana sono stati somministrati anticorpi anti-IL-10 per infusione ogni tre settimane; alla 77° settimana è stata interrotta la ART, continuando invece a somministrare l'anti-IL-10 fino alla 85° settimana.

Nel terzo gruppo, altri dieci macachi hanno ricevuto anticorpi contro l’IL-10 fino alla 65° settimana, ma dalla 73° in poi hanno iniziato a ricevere anche anticorpi anti-PD-1. Anche in questo caso la ART è stata interrotta alla 77° settimana, ma la terapia anticorpale è stata proseguita fino alla 91°.

Quando veniva interrotta la somministrazione della ART, negli esemplari trattati con la terapia anticorpale si rilevavano tassi di rebound virale inferiori rispetto al gruppo di controllo. Nove su dieci hanno raggiunto la soppressione della carica virale mentre assumevano gli anticorpi.

Questa duplice terapia può aprire la strada allo sviluppo di una maggiore varietà di vaccini sperimentali contro l'HIV.


Adeguata risposta immunitaria contro SARS-CoV-2 nelle persone HIV+

La dott.ssa Maria Polo (in basso a sinistra) durante il suo intervento a IAS 2021.
La dott.ssa Maria Polo (in basso a sinistra) durante il suo intervento a IAS 2021.

Le persone con infezione da HIV in terapia antiretrovirale presentano un’ampia risposta immunitaria contro SARS-CoV-2, il virus responsabile del COVID-19: è quanto emerge dai risultati di due studi presentati a IAS 2021. La capacità di sviluppare immunità naturale fa ben sperare per la risposta ai vaccini anti-COVID-19.

Uno studio condotto in Spagna ha valutato la risposta immunitaria in undici persone HIV-positive e 39 HIV-negative guarite dal COVID-19. Gli autori hanno esaminato immunità umorale (mediata da anticorpi) e cellulare (mediata da linfociti B e T). Tutti i partecipanti con infezione da HIV erano in terapia antiretrovirale (ART), con conte dei CD4 che variavano tra 284 e 1000.

Quasi tutti i partecipanti HIV-negativi (94%) e il 73% di quelli HIV-positivi aveva anticorpi IgG SARS-CoV-2 rilevabili a tre mesi. Tutti coloro che avevano sviluppato manifestazioni gravi di COVID-19 presentavano anticorpi, ma il 60% delle persone HIV-positive che aveva invece avuto il COVID-19 in forma più lieve no.

I livelli di anticorpi in genere con il tempo si abbassano, ma i cosiddetti linfociti B memoria (cellule immunitarie di lunga vita, che restano nell’organismo per anni) sono in grado di produrne di nuovi se si viene di nuovo a contatto con l’agente patogeno. Dieci partecipanti HIV-positivi presentavano linfociti B memoria in grado di produrre anticorpi contro la proteina spike di SARS-CoV-2 a sei mesi, anche chi non aveva anticorpi IgG rilevabili.

Questi dati suggeriscono che dopo la guarigione da COVID-19 le persone con HIV siano in grado di sviluppare un’immunizzazione naturale paragonabile a quella delle persone HIV-negative, hanno concluso i ricercatori.

In uno studio correlato, un team di ricerca in Argentina ha valutato l'immunità a SARS-CoV-2 in 21 persone HIV-positive e 21 HIV-negative guarite dal COVID-19. I ricercatori hanno misurato i livelli di anticorpi IgG anti-SARS-CoV-2 e la loro efficacia contro il ceppo originale di SARS-CoV-2 (detto wild-type), oltre a valutare la risposta specifica dei linfociti T al coronavirus.

Il 75% degli individui HIV-positivi e l'85% degli HIV-negativi avevano anticorpi anti-SARS-CoV-2 rilevabili. Tutti i partecipanti presentavano tracce di immunità cellulare contro SARS-CoV-2, sebbene la risposta immunitaria nel gruppo dei partecipati HIV-positivi fosse meno ampia e robusta.

Nelle persone con HIV, avere un’elevata conta dei CD4 è risultato un fattore chiave per stimolare una più cospicua produzione di anticorpi con maggiori capacità neutralizzanti, il che indica che la ART non solo terrebbe sotto controllo l’HIV ma aiuterebbe anche a contrastare altre infezioni.


Chemsex in aumento in Thailandia e altri paesi asiatici

Il dott. Stephane Wen-Wei Ku durante il suo intervento a IAS 2021.
Il dott. Stephane Wen-Wei Ku durante il suo intervento a IAS 2021.

Il chemsex, che consiste nell’assunzione di sostanze chimiche per migliorare le performance sessuali, è in vertiginoso aumento tra gli uomini che fanno sesso con uomini (MSM) e le donne trans con HIV in Thailandia: il numero di persone che dichiara di aver assunto metanfetamina per via iniettiva è aumentato di 16 punti percentuali dal 2009 al 2019, è stato riferito a IAS 2021 la scorsa settimana. Il chemsex è risultato fortemente associato all’acquisizione di altre infezioni sessualmente trasmissibili (IST), tra cui l’epatite C.

Uno studio ancora in corso a Bangkok recluta MSM e donne trans con recente diagnosi di infezione acuta da HIV: tra il 2009 e il 2019 sono stati arruolati complessivamente 604 partecipanti, con età media al baseline di 26 anni, che per il 98% si identificavano come maschi.

Confrontando quanto riferito al baseline dai partecipanti che sono entrati a far parte dello studio prima o dopo il 2017, quelli reclutati più di recente avevano probabilità significativamente più elevate di aver assunto stimolanti tipo anfetamina (33% contro 21%), compresa la metanfetamina (30% contro 19%). Avevano anche molte più probabilità di aver assunto metanfetamina per via iniettiva (20% contro 4%).

I dati raccolti da indagini regolari mostrano che chi faceva uso di sostanze stupefacenti era tre volte più soggetto a contrarre l’epatite C o la sifilide e quasi otto volte di più di contrarre la gonorrea. Quelli che riferivano di far uso di metanfetamina per via iniettiva, invece, erano addirittura 28 volte più soggetti ad avere una co-infezione con epatite C .

Sempre alla Conferenza, il dott. Stephane Wen-Wei Ku del Taipei City Hospital di Taiwan ha segnalato dati provenienti da Taiwan, Vietnam, Thailandia, Malesia, Singapore e Giappone che mostrano come il chemsex non sia un fenomeno limitato ai paesi occidentali, dove è più spesso studiato. Lo studioso ha sottolineato la necessità di servizi integrati per salute sessuale e uso di stupefacenti, evidenziando l'importanza di adottare un approccio volto alla riduzione del danno per quanto riguarda il consumo di sostanze che per la prevenzione dell'HIV e di altre IST. 


Una nuova generazione di studi sul vaccino contro l'HIV

La prof.ssa Lynn Morris durante il suo intervento a IAS 2021.
La prof.ssa Lynn Morris durante il suo intervento a IAS 2021.

I vaccini contro l’HIV e le immunoterapia “sarebbero più avanti” se si potesse disporre di risorse pari a quelle investite per contrastare il COVID-19, ha dichiarato la prof.ssa Lynn Morris della University of Witwatersrand, in Sudafrica, in risposta a una domanda del pubblico a IAS 2021. “I soldi risolvono i problemi, su questo non ci piove!”, ha aggiunto.

Se la ricerca sui vaccini contro l'HIV avesse potuto beneficiare di sovvenzioni simili a quelle stanziate contro il COVID-19 negli ultimi 18 mesi, ha continuato la studiosa, sarebbe stato possibile portare sperimentare, anche in modo sovrapposto, molti diversi spunti di ricerca. I finanziamenti avrebbero incoraggiato l'industria farmaceutica a farsi coinvolgere di più nelle sperimentazioni e a sfruttare la sua capacità di condurre studi di grandi dimensioni e produrre farmaci efficaci su larga scala.

Sono attualmente in corso due studi di efficacia di fase III per un vaccino per l’HIV a scopo preventivo, denominati rispettivamente HVTN 705 (Imbokodo) – condotto su donne africane – e HVTN 706 (Mosaico) – condotto invece su uomini gay e bisessuali e donne transgender. Il candidato vaccino mira a rafforzare la risposta immunitaria contenendo antigeni di molti diversi sottotipi virali.

Anche se gli studi stanno dando risultati negativi, è in corso una pletora di studi preclinici volti a esplorare altri concetti: per esempio ci sono undici studi con sperimentazione umana di combinazioni di anticorpi ampiamente neutralizzanti (bNAb). La maggior parte è in fase I (sicurezza e immunogenicità), ma due sono già arrivati alla fase II (dosaggio ed efficacia preliminare).


Altre notizie da IAS 2021

Studi confermano che i livelli ormonali in donne trans non sono particolarmente influenzati dalla PrEP e vice versa

Studio sudafricano evidenzia maggiore insulino-resistenza e profili metabolici peggiori in bambini con HIV

Tutte le notizie e i bollettini da IAS 2021 nelle pagine di aidsmap dedicate alla Conferenza


Video-interviste da IAS 2021

IAS videos

NAM aidsmap ha intervistato cinque ricercatori intervenuti a IAS 2021 per saperne di più sugli studi chiave che hanno presentato alla Conferenza.

In questa serie di interviste, Roger Pebody incontra il prof. Jean-Michel Molina (con cui parla di lenacapavir iniettabile in pazienti con HIV multifarmacoresistente); il prof. Samir Gupta (sempre sul lenacapavir iniettabile, ma per persone che iniziano la terapia antiretrovirale per la prima volta); la dott.ssa Silvia Bertagnolio (COVID-19 in persone con HIV); la dott.ssa Maggie Czarnogorski (trattamento anti-HIV iniettabile); e la dott.ssa Lulu Nair (anelli vaginali e PrEP orale).


aidsmapLIVE: Speciale IAS 2021

aidsmapLIVE

Lunedì 26 luglio, NAM aidsmap ha trasmesso sui suoi profili Facebook e Twitter uno speciale AIDSMAPLIVE IAS 2021.

Susan Cole di NAM aidsmap ha discusso le notizie e gli studi presentati a IAS 2021 con i seguenti ospiti: la dott.ssa Meg Doherty, direttrice dei programmi globali per HIV, epatite e infezioni sessualmente trasmissibili dell’OMS; la dott.ssa Laura Waters, presidente della British HIV Association; Phelister Abdalla, coordinatrice nazionale della Kenya Sex Workers Alliance; e Christoph Spinner, relatore a IAS 2021 e responsabile del servizio di informatica medica presso il Policlinico Universitario Rechts der Isar di Monaco di Baviera.


Analisi scientifica a cura di Clinical Care Options

clinical care options

Clinical Care Options, in qualità di partner ufficiale di IAS 2021 per l’analisi scientifica, offre sintesi degli studi presentati all’evento, presentazioni PowerPoint scaricabili, webinar con esperti e approfondimenti nella sezione ClinicalThought.