Giovedì 25 luglio 2019

Trattamento HIV da assumere quattro giorni a settimana efficace quanto quello giornaliero

Roland Landman durante il suo intervento IAS 2019. Fonte dell’immagine: @agenceANRS 

Un trattamento HIV che si assume per soli quattro giorni a settimana ha mostrato un’efficacia non inferiore rispetto al trattamento giornaliero in pazienti con carica virale già completamente soppressa: è il risultato di uno studio randomizzato presentato alla 10° Conferenza sull’HIV dell’International AIDS Society (IAS 2019) a Città del Messico.

Di norma, per i pazienti con HIV è raccomandata l’assunzione quotidiana di antiretrovirali, ma ci sono evidenze del fatto che alcuni di questi farmaci si mantengono in concentrazioni sufficienti per diversi giorni, tenendo a bada il virus anche quando viene saltata una dose. Certo, nel lungo termine è bene aderire quanto più possibile al trattamento, ma molte persone HIV-positive lamentano che è difficile mantenere la perfetta aderenza anno dopo anno e sarebbero interessati a strategie terapeutiche che prevedano l’assunzione di un numero più contenuto di farmaci.

Dopo uno studio pilota, l’Agenzia Nazionale Francese per la Ricerca sull'AIDS (ANRS) ha lanciato lo studio QUATUOR, in cui sono stati arruolati 647 pazienti con carica virale pienamente soppressa da almeno 12 mesi e privi di mutazioni farmacoresistenti.

I partecipanti, che assumevano una gamma di diversi regimi antiretrovirali, sono stati randomizzati per continuare a prendere i farmaci quotidianamente oppure passare a soli quattro giorni consecutivi la settimana (da lunedì a giovedì).

L’outcome primario dello studio era la percentuale di partecipanti che alla 48° settimana riportava un successo terapeutico, inteso come mantenimento della carica virale irrilevabile e assunzione continuativa della terapia secondo la posologia assegnata. I risultati ottenuti nel braccio di sperimentazione (assunzione per quattro giorni) sono stati non-inferiori a quelli del braccio di controllo (assunzione quotidiana), senza contare che tra le due strategie terapeutiche non sono state rilevate differenze legate al tipo di regime assunto (a base di inibitori della proteasi, inibitori dell’integrasi oppure inibitori non-nucleosidici della trascrittasi inversa, o NNRTIs).

Lo studioso a capo dello studio, il dott. Roland Landman, ha inoltre fatto notare che la terapia assunta per soli quattro giorni la settimana consente una riduzione dei costi del 43%.

I partecipanti saranno tenuti sotto osservazione per altre 48 settimane per confermare la durata nel tempo dell’efficacia di questa strategia terapeutica.

Una potenziale nuova duplice terapia, islatravir più doravirina

Immagine tratta dalla presentazione di Jean-Michel Molina a IAS 2019.

Stando ai risultati di uno studio presentato a IAS 2019, l’islatravir (precedentemente noto come MK-8591), il primo inibitore nucleosidico della traslocazione della trascrittasi inversa (NRTTI), e un inibitore non nucleosidico della trascrittasi inversa (NNRTI) di recente approvazione denominato doravirina (Pifeltro) potrebbero andare a formare un regime a due farmaci potente e ben tollerato per la terapia di mantenimento nei pazienti con HIV.

Il dott. Jean-Michel Molina dell’Università di Parigi ha presentato alla Conferenza i risultati di uno studio di fase IIb mirato a verificare sicurezza ed efficacia della combinazione islatravir più doravirina, confrontandone le prestazioni con quelle del regime monocompressa  Delstrigo, a base di doravirina, tenofovir disoproxil fumarato (TDF) e lamivudina.

Durante la prima fase dello studio, della durata di 24 settimane, i partecipanti sono stati randomizzati per ricevere la combinazione islatravir più doravirina e lamivudina in tre diversi dosaggi (0,25mg, 0,75mg o 2,25mg) oppure il Delstrigo.

Durante la seconda fase, coloro che erano riusciti ad abbattere la carica virale al di sotto della soglia di rilevabilità (meno di 50 copie/ml) con la combinazione dei tre farmaci hanno interrotto l’assunzione della lamivudina, continuando soltanto con islatravir più doravirina fino alla 48° settimana. Chi impiegava più tempo per raggiungere l’abbattimento della carica virale ha continuato ad assumere tutti e tre i farmaci per un periodo più lungo.

Dopo 24 settimane, l’89,7%, il 100,0% e l’87,1% dei partecipanti che assumevano islatravir rispettivamente nei dosaggi di 0,25mg, 0,75mg e 2,25mg erano riusciti ad abbassare la carica virale sotto le 50 copie/ml ed erano di conseguenza eleggibili per la seconda fase della sperimentazione; nel braccio del Delstrigo la percentuale è stata del 87,1%.

Dopo 48 settimane, l’89,7%, il 90,0% e il 77,4% di questi pazienti avevano mantenuto la soppressione virale con i rispettivi dosaggi di islatravir, contro l’83,9% di quelli nel braccio del Delstrigo.

"Sono risultati che comprovano l’efficacia antivirale della combinazione islatravir più doravirina, che quindi rappresenta una potenziale opzione di duplice terapia a monosomministrazione giornaliera per i pazienti HIV+”, ha  commentato il dott. Molina.

La Merck, la casa farmaceutica che ha sviluppato l’islatravir, ha fatto sapere di avere in progetto delle sperimentazioni di fase III della combinazione islatravir più doravirina. L’islatravir da solo è al contempo allo studio per la somministrazione tramite impianto sottocutaneo a lunga durata d’azione nella profilassi pre-esposizione (PrEP).

Lo studio ADVANCE evidenzia elevata efficacia del dolutegravir in Sudafrica

Immagine tratta dalla presentazione di François Venter a IAS 2019. 

Stando ai risultati dello studio ADVANCE, presentato a IAS 2019, il trattamento a base di dolutegravir mostra un’efficacia non inferiore rispetto a quello a base di efavirenz. La vecchia formulazione del tenofovir (tenofovir disoproxil fumarato, o TDF), più economica, è risultata efficace e ben tollerata quanto quella nuova (tenofovir alafenamide fumarato, o TAF).

Il trattamento a base di dolutegravir è attualmente raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per tutti i pazienti adulti. Lo studio ADVANCE aveva l’obiettivo di valutare l’impiego di un regime a base di dolutegravir e TAF in Sudafrica.

Per lo studio sono stati arruolati 1035 tra adolescenti e adulti al di sopra dei 12 anni d’età che non avevano assunto antiretrovirali nei 30 giorni precedenti. I partecipanti sono stati randomizzati per ricevere uno dei seguenti tre regimi: TAF/emtricitabina/dolutegravir, TDF/emtricitabina/dolutegravir oppure TDF/emtricitabina/efavirenz.

Ha presentato i risultati dello studio a IAS 2019 il professor François Venter. Non è emersa alcuna differenza significativa tra le tre combinazioni somministrate in termini di percentuale di partecipanti che, alla 48° settimana, presentavano carica virale inferiore alle 50 copie/ml.

Con il dolutegravir, il vantaggio è che il fallimento virologico che conduce a uno sviluppo di farmacoresistenze è raro. Per di più, la resistenza agli inibitori non-nucleosidici della trascrittasi inversa (NNRTIs) come l’efavirenz è molto diffusa nell’Africa sub-sahariana. Nello studio, si sono verificati otto casi di sviluppo di farmacoresistenze: nel braccio dell’efavirenz tre partecipanti hanno sviluppato resistenza agli NNRTI e quattro agli inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa (NRTI); in quello del TDF/emtricitabina/dolutegravir un partecipante ha sviluppato invece resistenza agli NRTI.

I partecipanti del braccio dell’efavirenz sono risultati più soggetti a interrompere il trattamento a causa degli effetti collaterali (dieci contro uno solo nel braccio del dolutegravir).

Sui partecipanti sono state anche eseguite misurazioni della densitometria ossea con scansione DEXA: quelli del braccio del TDF alla 48° settimana mostravano una densità ossea inferiore nella zona lombare o nell’anca. Infine, sebbene i test di laboratorio abbiano rilevato più frequentemente marker di insufficienza renale nei partecipanti trattati con il TDF, non si sono registrate differenze degne di nota in termini di effetti collaterali a carico dei reni.

Tuttavia, lo studio ha evidenziato anche che i partecipanti trattati con dolutegravir in combinazione con TAF erano più soggetti ad avere un significativo aumento di peso.

Chi sono quelli che interrompono la PrEP?

Kathleen Ryan della Monash University. Foto di Gus Cairns. 

Diversi  studi presentati a IAS 2019 hanno cercato di far luce su chi sono le persone che interrompono la profilassi pre-esposizione (PrEP) dopo aver iniziato a farne uso nell’ambito di progetti dimostrativi. Uno dei dati che emergono con maggiore regolarità è che i giovani faticano a portare avanti l’uso della PrEP con costanza nel tempo.

PrEPX è uno studio dimostrativo sull’introduzione della PrEP condotto nello Stato di Victoria, in Australia. I partecipanti erano per lo più uomini gay e bisessuali sui trent’anni che avevano avuto rapporti anali non protetti nei tre mesi precedenti al reclutamento. L’età media era di 34 anni, con un 25% al di sotto dei 29. Quasi tutti erano maschi cisgender gay o bisessuali, ad eccezione di 39 donne transgender (1,1%). Quasi i tre quarti di loro avevano avuto rapporti anali non protetti nei tre mesi prima di entrare nello studio, il 13% aveva fatto uso di metanfetamina e il 5% di sostanze stupefacenti per via iniettiva.

Ottantacinque partecipanti (2,4%) si sono ritirati ufficialmente dallo studio, mentre 877 hanno smesso di partecipare senza avvertire (25%), 275 dei quali non si sono mai ripresentati dopo la prima prescrizione. Chi abbandonava poteva comunque ripresentarsi successivamente, e 197 partecipanti l’hanno fatto.

Alcuni gruppi sono risultati più soggetti a interrompere la PrEP. Chi aveva meno di 29 anni, per esempio, aveva il 75% di probabilità in più di abbandonare rispetto agli ultraquarantenni. Le probabilità sono risultate più alte anche in presenza di consumo di stupefacenti: del 64% per chi faceva uso di droghe iniettive e del 34% per chi assumeva metanfetamina. Infine, coloro che si erano inizialmente presentati sotto consiglio del medico avevano il 27% di probabilità in più rispetto a chi era venuto spontaneamente.

Chi interrompeva la PrEP non smetteva di rivolgersi ai centri per la salute sessuale e le diagnosi di infezioni sessualmente trasmesse (IST) non sono state più frequenti rispetto a coloro che invece continuavano ad assumerla. Questo fa pensare che dopo averla interrotta siano esposti allo stesso rischio che se non l’avessero mai iniziata. Secondo la dott.ssa Kathleen Ryan, il pericolo è che “il rischio percepito da parte di queste persone possa essere inferiore a quello che effettivamente corrono”.

Vaccino sperimentale potrebbe proteggere dall’HIV per oltre cinque anni

Daniel Stieh presenta lo studio ASCENT a IAS 2019. Foto di Liz Higheyman. 

Sono stati annunciati a IAS 2019 i nuovi risultati di APPROACH, uno studio di fase IIa su un vaccino per l’HIV: sembrerebbero indicare che la risposta anticorpale e cellulare indotta da questo vaccino possa durare almeno due anni e che la risposta protettiva degli anticorpi possa durare almeno cinque anni, se declina al tasso tipico di altri vaccini.

I risultati a sei mesi dello studio APPROACH erano già stati resi noti due anni fa, a IAS 2017. I dati erano stati usati per selezionare il vaccino da impiegare in uno studio di efficacia denominato Imbokodo, attualmente in corso di cinque paesi dell’Africa orientale e meridionale.

La durata della risposta immunitaria indotta da un vaccino è tanto importante quanto la sua potenza. I risultati presentati quest’anno mostrano che la risposta anticorpale prodotta dal vaccino di APPROACH raggiungeva il picco dopo il primo dei quattro inoculi che componevano il regime, per poi diminuire di circa 10 volte nei primi cinque mesi successivi. Poi, però, non si sono quasi registrate altre diminuzioni per i due anni a seguire.

Il dott. Frank Tomaka ha spiegato che, secondo le proiezioni degli studi di modellazione, le concentrazioni ematiche al quinto anno dovrebbero ancora superare i livelli medi osservati nelle sperimentazioni preliminari su primati, in cui il vaccino si era dimostrato in grado di prevenire i due terzi delle infezioni da HIV negli animali.

In un’altra presentazione, il dott. Daniel Stieh ha riferito sui risultati definitivi di un secondo studio di fase IIa, denominato ASCENT, grazie a cui si è stabilito definitivamente quale formulazione vaccinale impiegare nella fase III dello studio di efficacia MOSAICO, che sarà avviato l’autunno prossimo in Europa e America settentrionale e meridionale.

I vaccini utilizzati in APPROACH e Imbokodo sono progettati per agire sul sottotipo di HIV più diffuso in Africa, noto come clade C. Il sottotipo più diffuso a livello globale nei maschi che hanno rapporti sessuali con maschi è invece il clade B.

L’obiettivo di ASCENT era di espandere l’applicabilità del vaccino in modo che producesse risposte utili in persone con sottotipi di HIV non-clade C. A questo scopo, anziché un unico richiamo, sono stati previsti due diversi richiami a metà dosaggio, uno per il clade C e l’altro per un ‘mosaico’ di vari antigeni HIV di altri clade virali.

Il vaccino ASCENT è stato somministrato a 152 individui negli Stati Uniti, in Rwanda e in Kenya. Si temeva che, dimezzando la dose del richiamo per il clade C, la risposta immunitaria a quel sottotipo ne risentisse, e invece non è stato registrato alcun indebolimento della risposta anticorpale al clade C rispetto ad altri ceppi virali, mentre è migliorata la risposta al clade B.

I risultati dello studio Imbokodo sono attesi a fine 2022 e quelli di MOSAICO a fine 2023.

In Kenya lo stigma legato alla PrEP ha tre facce

Daniel Were a IAS 2019. Foto di Gus Cairns.

In alcune popolazioni chiave del Kenya, lo stigma rappresenta ancora un ostacolo non indifferente, che scoraggia dall’iniziare o continuare ad assumere regolarmente la profilassi pre-esposizione (PrEP): lo dicono i risultati di un’indagine qualitativa presentata a IAS 2019.

Secondo il dott. Daniel Were del Jilinde Project e di Jhpiego, le ragazze adolescenti, le giovani donne, i maschi che fanno sesso con maschi (MSM) e i/le sex workers sono ancora vittima di un fortissimo stigma, non solo proveniente dal mondo esterno ma anche interiorizzato.

Jilinde è un progetto quadriennale con l’obiettivo di dimostrare l’efficacia di un modello per l’ampliamento dell’offerta di PrEP in alcune popolazioni chiave in Kenya, e distribuisce i farmaci preventivi in 93 siti di studio. Per comprendere meglio in che modo lo stigma ostacola l’adesione alla PrEP e la sua prosecuzione nel tempo, sono stati organizzati 22 focus group e condotti 30 colloqui approfonditi con 222 partecipanti.

È emerso che lo stigma può assumere tre principali forme:

  • legato al prodotto: “L’ho tenuto nascosto perché il flacone ha una confezione molto simile a quella degli antiretrovirali. Uno che non sa cos’è la PrEP potrebbe pensare che abbia l’HIV.” – giovane donna, 20 anni
  • legato all’identità: “Essere un MSM è malvisto, è considerata una maledizione…” – MSM, 20 anni. Questa forma di stigma affligge principalmente gli MSM e i/le sex workers.
  • legato al comportamento: “Mia madre mi ha detto che prendo quei farmaci perché voglio fare la prostituta…” giovane donna, 22 anni. Questa forma risulta molto sentita soprattutto tra le adolescenti e dalle giovani donne.

Nella percezione ed esperienza degli intervistati, lo stigma proviene da coetanei, partner sessuali, familiari e operatori sanitari, sotto forma di pregiudizio, discriminazione e stereotipi. I partecipanti hanno anche parlato delle potenziali ripercussioni sulla loro vita di questo stigma, come le violenze da parte del partner, la perdita di lavoro (per i/le sex workers), una reputazione rovinata e la discriminazione da parte del personale sanitario.

In un simposio della Conferenza, Ntando Yola della Desmond Tutu HIV Foundation ha offerto ulteriori informazioni sull’adesione ai programmi PrEP da parte dei giovani in Sudafrica, sottolineando quant’è importante che siano facilmente accessibili, a misura di adolescente e integrati con altri tipi di servizi (soprattutto con l’offerta di contraccettivi).

Sia Were che Yola hanno rimarcato la necessità di programmi su misura, in cui siano previsti interventi per sensibilizzare il personale sanitario e per informare sulla PrEP in modo da normalizzarla e destigmatizzarla.

Analisi scientifica a cura di Clinical Care Options

Clinical Care Options, partner ufficiale di IAS 2019 per l’analisi scientifica, offrirà sintesi degli studi presentati alla Conferenza, presentazioni PowerPoint scaricabili e approfondimenti nella sezione ClinicalThought.