CROI 2024: Nuovi antiretrovirali a monosomministrazione settimanale all'orizzonte, mercoledì 6 marzo 2024

Nuovi antiretrovirali a monosomministrazione settimanale all'orizzonte

Image credit: carballo/Shutterstock.com
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Sono stati presentati questa settimana alla 31° Conferenza su Retrovirus e Infezioni Opportunistiche (CROI 2024), in corso a Denver, Stati Uniti, due nuovi antiretrovirali ad assunzione orale che potrebbero consentire la somministrazione una sola volta alla settimana.

I nuovi principi attivi sono già stati sottoposti a studi di fase 1, con cui si definisce il dosaggio appropriato e si identificano eventuali effetti collaterali gravi. Le successive fasi di sperimentazione, con cui si verificano efficacia, dosaggio e sicurezza di un nuovo farmaco, richiederanno dai tre ai cinque anni per essere portate a termine. I farmaci presentati questa settimana non saranno dunque disponibili nel prossimo futuro, ma sono indicativi della direzione in cui si sta muovendo il mercato degli antiretrovirali: dosaggi meno frequenti, sia per il trattamento che per la PrEP.

Il primo, MK-8527, è un nuovo inibitore nucleosidico della trascrittasi inversa che la casa farmaceutica Merck sta mettendo a punto come farmaco da assumere una sola volta alla settimana per il trattamento dell'HIV e una volta al mese per la PrEP.

Sono stati condotti due studi di sicurezza ed efficacia di fase 1 su 37 persone con infezione da HIV che non avevano mai assunto la terapia antiretrovirale (ART), testando l'efficacia virologica del farmaco in cinque diverse dosi (0,25 mg, 0,5 mg, 1 mg, 3 mg o 10 mg) a sette giorni dalla somministrazione di una singola dose.

Sono state osservate riduzioni della carica virale nell'ordine di:

  • -0.80log con la dose da 0.25mg;
  • -1.39log con 0.5mg;
  • -1.21log con 1mg;
  • -1.66log con 3mg;
  • -1.39log con 10mg.

Altri due studi condotti su persone HIV-negative hanno invece testato la farmacocinetica di MK-8527 con somministrazioni singole e multiple. Gli eventi avversi correlati al farmaco sono stati lievi o moderati.

Nel primo studio, 34 persone hanno ricevuto somministrazioni singole a dosaggio crescente da 0,5 mg a 200 mg. Con dosi pari o superiori a 5 mg si sono ottenute concentrazioni di farmaco superiori alla soglia di attività antivirale contro l'HIV-1 di fenotipo selvaggio (wild-type). Nell'altro, quattro gruppi di otto persone hanno ricevuto tre somministrazioni di MK-8527 a intervalli di una settimana oppure un placebo; ai tre gruppi di intervento è stata assegnata una dose diversa, da 5 mg a 40 mg. Dopo la terza somministrazione, l'emivita di MK-8527 variava dalle 216 alle 291 ore a seconda della dose, il che ha portato gli autori dello studio a concludere che il suo profilo farmacocinetico consente la monosomministrazione settimanale, e forse anche a intervalli più lunghi.

Il secondo antiretrovirale, GS-1720, è un inibitore dell'integrasi attualmente allo studio presso i laboratori di Gilead Sciences, anch'esso da assumersi per via orale una sola volta alla settimana.

In uno studio di fase 1a sono stati testati dosaggi crescenti fino a 1350 mg in otto persone negative all'HIV per determinarne tollerabilità ed emivita farmacocinetica. Dopo una singola somministrazione di 450 mg, il tempo mediano impiegato dalle concentrazioni di farmaco per dimezzarsi è stato di 9,4 giorni, il che depone a favore della monosomministrazione settimanale.

Uno studio di fase 1b ha invece testato quattro diversi dosaggi di GS-1720 (30 mg, 150 mg, 450 mg e 900 mg) per verificarne sicurezza e attività antivirale in persone HIV-positive. Ogni dosaggio è stato testato su sette partecipanti.

All'11° giorno, si sono osservate riduzioni della carica virale nell'ordine di:

  • -1.74log con la dose da 30mg;
  • -2.18log con 150mg;
  • -2.44log con 450mg;
  • -2.37log con 900mg.

In tutti i partecipanti che hanno ricevuto dosi di 450 mg o 900 mg, la riduzione della carica virale è stata di almeno -1,5 log. Non sono stati segnalati eventi avversi gravi (di grado 3 o superiore) correlati al farmaco.

Sempre a CROI 2024 saranno più avanti presentati i risultati ottenuti con una duplice terapia a somministrazione settimanale che è lievemente più avanti nell'iter di sperimentazione clinica. Si tratta di un piccolo studio di fase II che ha testato l'assunzione di islatravir e lenacapavir in compresse ogni sette giorni.


Diagnosi di HIV in calo negli stati USA con elevata copertura PrEP

Il dott. Patrick Sullivan a CROI 2024. Foto di Roger Pebody.
Il dott. Patrick Sullivan a CROI 2024. Foto di Roger Pebody.

Tra il 2012 e il 2021, negli stati USA con la più elevata copertura della PrEP il numero di nuove diagnosi di HIV è drasticamente e continuamente calato, ha riferito a CROI 2024 il dott. Dr Patrick Sullivan.

Da quando è stata per la prima volta approvata nel 2012, il ricorso alla PrEP (farmaci assunti regolarmente per prevenire l'infezione da HIV) è stabilmente aumentato negli Stati Uniti: si stima che nel 2022 l'abbiano assunta 363.957 persone. A livello di popolazione, l'impatto maggiore si ha quando la PrEP viene prescritta e portata avanti con costanza da chi ne ha più bisogno, come gli uomini omo- e bisessuali che hanno rapporti non protetti.

Sullivan e colleghi hanno esaminato i dati relativi alle prescrizioni di PrEP e quelli provenienti dal monitoraggio delle dispensazioni in farmacia negli Stati Uniti dal 2012 al 2021. I ricercatori hanno preso in considerazione la percentuale di persone che assumevano la PrEP su ogni 100 che corrispondevano alle indicazioni dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC), fornendo una stima della copertura della PrEP in rapporto al bisogno.

Per ogni stato, gli studiosi hanno esaminato le variazioni nelle percentuali annuali dei tassi di diagnosi di HIV e le hanno confrontate con i dati relativi alla copertura della PrEP.

In alcune aree, come quella di Washington DC, è stato osservato un forte calo percentuale nella variazione annuale stimata delle diagnosi di HIV tra il 2012 e il 2021 (-12%); in altre però si è verificato un aumento, per esempio in West Virginia (+11%).

La copertura media della PrEP variava da un minimo del 4% in West Virginia a un massimo del 22% nello stato di New York. Negli stati con livelli più elevati di copertura rispetto alle indicazioni per la PrEP, i tassi di diagnosi di HIV sono diminuiti; in quelli con i livelli più bassi, invece, è possibile che ci siano stati lievi aumenti.

Sebbene questo tipo di analisi non possa provare un nesso di causalità, secondo Sullivan fornisce forti evidenze di quella che è nota come "relazione dose-risposta": quando la copertura della PrEP aumenta tra coloro che ne hanno maggiormente bisogno, i tassi di diagnosi di HIV si riducono costantemente. È importante sottolineare che questa relazione è stata osservata indipendentemente dai tassi di soppressione virale.

Anche negli Stati in cui la copertura è elevata, i programmi di sussidio per l'acquisto dei farmaci e l'espansione del programma federale di assicurazione sanitaria Medicaid a livello statale restano fattori cruciali per garantire l'accesso alla PrEP.


La variabilità della distribuzione del dolutegravir potrebbe influire sulla sua capacità di sopprimere i reservoir HIV

Image credit: Weipeng_Lin/Pixabay
Image credit: Weipeng_Lin/Pixabay

L'analisi dei tessuti prelevati da sei persone con infezione da HIV subito dopo il decesso ha evidenziato variazioni nelle concentrazioni di dolutegravir in diversi siti corporei, si apprende da una ricerca presentata a CROI 2024.

I campioni di tessuto esaminati sono stati raccolti da persone con infezione da HIV in fin di vita che avevano acconsentito a donarli post-mortem.

L'analisi della distribuzione dei farmaci serve a valutare la capacità di un farmaco di raggiungere i siti di destinazione nell'organismo. Nel caso dell'HIV, la distribuzione è buona quando il farmaco raggiunge una concentrazione ottimale nei tessuti immunitari e nei reservoir virali.

Tutti e sei i donatori erano in trattamento con un regime antiretrovirale a base di dolutegravir. I campioni sono stati raccolti e analizzati entro sei ore dal decesso: sono stati ricavati 22 campioni di tessuto da diversi siti corporei di ciascun paziente.

Il sistema nervoso centrale (cervello e midollo spinale) è separato dal resto del corpo dalla cosiddetta barriera emato-encefalica, che rappresenta un ostacolo per molti farmaci. Lo studio ha evidenziato che le concentrazioni farmacologiche nel cervello e nel midollo spinale erano più basse rispetto ad altri siti corporei, ma nelle diverse parti del cervello erano distribuite uniformemente. Nell'intestino e nella milza, componenti essenziali del sistema immunitario, le concentrazioni sono risultate elevate.

Sebbene dolutegravir sia in sé un efficace soppressore dell'HIV, se le sue concentrazioni variano da una persona all'altra questo può influire sulla sua capacità di raggiungere e sopprimere il virus nel reservoir del sistema nervoso centrale. Si tratta di un piccolo studio, ma l'analisi condotta sembra dimostrare che le concentrazioni tissutali del farmaco varino notevolmente da individuo a individuo.


Se un anticorpo è inefficace, perché non provare con tre?

Il dott. Boris Juelg a CROI 2024. Foto di Krishen Samuel.
Il dott. Boris Juelg a CROI 2024. Foto di Krishen Samuel.

A CROI 2024 sono stati presentati i dati più recenti emersi da uno studio sul trattamento con una combinazione di anticorpi monoclonali neutralizzanti (bnAbs).

I bnAbs sono al centro della ricerca sul trattamento e la prevenzione dell'HIV da circa 15 anni. Si tratta di molecole proteiche in grado di eliminare i virus, neutralizzandoli: l'HIV però si è finora dimostrato troppo veloce per loro, muta e sviluppa farmacoresistenze. Così la ricerca sui bnAbs si è concentrata sul trovare un modo per introdurli prima, quando sono ancora efficaci contro l'HIV. Le singole molecole possono poi ingenerare farmacoresistenze, da cui l'ipotesi che possa essere più efficace impiegare una combinazione di tre bnAbs.

Nell'ultimo studio, il dott. Boris Juelg e i suoi colleghi del Ragon Institute del Massachusetts hanno preso in considerazione 12 persone con infezione da HIV che hanno interrotto la terapia antiretrovirale (ART) per ricevere una triplice combinazione di bnAbs per via endovenosa ogni quattro settimane, fino alla 20° settimana. I partecipanti sono stati poi monitorati per almeno altre 20 settimane e, se la loro carica virale tornava a superare quota 1000, ricominciavano ad assumere ART.

Di fronte a questi dati e ai risultati talora deludenti di altri studi sui bnAbs, sono state mosse critiche da parte di alcuni dei presenti alla Conferenza. La dott.ssa Laura Waters, del Regno Unito, ha contestato il lavoro sul piano dell'etica, per non aver testato preliminarmente i partecipanti per verificare la presenza di resistenze pre-esistenti. L'attivista ugandese Moses Supercharger ha messo in dubbio la fattibilità di un trattamento che richiederebbe la refrigerazione e costosi test di efficacia che non sono disponibili in molte parti dell'Africa. Anche il dott. Ricky Hsu dell'AIDS Healthcare Foundation di New York ha espresso perplessità circa il dispendio di risorse investite nei bnAbs, vista la necessità di test costosi.


Anticorpi monoclonali neutralizzati e antiretrovirali a lunga durata d'azione potrebbero fare il paio

I proff. Joseph Eron e Babafemi Taiwo a CROI 2024. Foto di Roger Pebody.
I proff. Joseph Eron e Babafemi Taiwo a CROI 2024. Foto di Roger Pebody.

Due presentazioni di CROI 2024 sembrano indicare che due antiretrovirali a lunga durata d'azione – il lenacapavir (Sunlenca) e il cabotegravir (Vocabria) – potrebbero essere abbinati con successo agli anticorpi monoclonali neutralizzanti (bnAbs) per il trattamento dell'HIV.

Il prof. Joseph Eron della University of North Carolina di Chapel Hill ha presentato i risultati di uno studio di fase 1b su lenacapavir più teropavimab e zinlirvimab, due anticorpi attualmente allo studio presso Gilead Sciences.

Il lenacapavir è un inibitore del capside dell'HIV approvato per trattare pazienti con fallimenti terapeutici alle spalle e con ceppi virali multiresistenti. Viene somministrato per via iniettiva una volta ogni sei mesi. Entrambi i bnAbs sono stati modificati per prolungarne l'emivita e consentire una somministrazione meno frequente.

All'inizio della sperimentazione, dopo aver interrotto il regime antiretrovirale che stavano assumendo, tutti e 20 i partecipanti hanno ricevuto una somministrazione di lenacapavir per via orale, due iniezioni sottocutanee di lenacapavir e un'infusione endovenosa di teropavimab (30mg/kg). Sono poi stati randomizzati per ricevere infusioni di zinlirvimab da 10mg/kg oppure da 30mg/kg.

Alla Conferenza sono stati presentati i primi risultati di questo studio. Lenacapavir, teropavimab e zinlirvimab si sono mantenuti ben al di sopra dei livelli terapeutici, e il 90% dei partecipanti in entrambi i gruppi di dosaggio hanno mantenuto la soppressione virale per sei mesi. Il trattamento si è dimostrato sicuro e generalmente ben tollerato.

Condizione per la partecipazione allo studio era avere un ceppo virale sensibile sia a teropavimab che a zinlirvimab: oltre la metà dei potenziali partecipanti è stata esclusa per questo motivo. È stato avviato un nuovo studio che ha arruolato 11 persone con sensibilità al teropavimab o allo zinlirvimab, ma non a entrambi.

Una persona è stata esclusa perché risultata affetta da epatite B. Dieci partecipanti sono stati randomizzati per ricevere gli stessi due regimi. Alla 26° settimana, hanno ripreso la loro terapia antiretrovirale precedente. A quel punto, otto su dieci avevano mantenuto la soppressione virale. Nei due gruppi di dosaggio di zinlirvimab, però, si sono ottenute risposte diverse: solo due persone delle quattro che avevano ricevuto il dosaggio più basso avevano ancora carica virale non rilevabile, mentre tutte e sei quelle trattate con dosaggio più alto l'avevano mantenuta. Il trattamento è risultato ben tollerato.

Uno dei partecipanti del gruppo con dosaggio più basso, sensibile a teropavimab, ha avuto una diagnosi di COVID in coincidenza con il rebound virale e ha raggiunto nuovamente la soppressione virale dopo aver ricominciato ad assumere la ART orale. L'altro era sensibile a zinlirvimab e ha continuato ad avere una carica virale bassa ma rilevabile anche dopo la ripresa del trattamento orale. Non sono invece emerse resistenze nel corso del trattamento.

Tutti i partecipanti del gruppo con il dosaggio più elevato di zinlirvimab hanno mantenuto la soppressione virale per sei mesi: questo fa pensare che "potrebbero essere appropriati criteri di sensibilità ai bnAbs più inclusivi per gli studi sul trattamento con [la combinazione lenacapavir+teropavimab+zinlirvimab] quando si riescono a mantenere concentrazioni di bnAbs più elevate", hanno concluso i ricercatori.

La combinazione verrà ora sottoposta a uno studio di fase II.

Nel secondo studio (di fase II), il prof. Babafemi Taiwo della Northwestern University di Chicago e i suoi colleghi hanno valutato sicurezza ed efficacia della combinazione di cabotegravir a lunga durata d'azione più un bnAb noto come VRC07-523LS. Il farmaco è stato inoltre modificato per aumentarne la durabilità, ossia la persistenza nel tempo della sua efficacia.

Nella prima fase dello studio, i partecipanti hanno assunto cabotegravir orale più due NRTI per quattro settimane. Quelli che mantenevano la soppressione virale passavano alla seconda fase, in cui ricevevano un'iniezione di cabotegravir a lunga durata d'azione ogni quattro settimane e un'infusione di 40mg/kg di VRC07-523LS ogni otto settimane. Dopo 48 settimane, ricominciavano ad assumere un regime orale standard. In totale hanno iniziato la seconda fase 71 partecipanti, e l'hanno completata in 60.

Tutti i partecipanti tranne cinque hanno mantenuto la soppressione virale alla 48° settimana. Il trattamento è risultato generalmente sicuro e ben tollerato.

La combinazione di un singolo bnAb a lunga durata d'azione con il cabotegravir iniettabile "ha mostrato potenziale nel mantenere soppressa la carica virale dell'HIV-1, ma serve maggiore comprensione dei meccanismi alla base di queste risultanze", hanno concluso i ricercatori.