CROI 2020: 'Paziente di Londra' ancora in remissione dall' HIV, 11 marzo 2020

Ravindra Gupta
Ravindra Gupta ha presentato per la prima volta il caso al CROI 2019 di Seattle. Foto di Liz Highleyman.

'Paziente di Londra' ancora in remissione dall'HIV

Il cosiddetto 'paziente di Londra' continua a non presentare tracce di HIV trenta mesi dopo l’interruzione delle terapie antiretrovirali: a riferirlo è il prof. Ravindra Gupta dell’University College di Londra alla Conferenza su Retrovirus e Infezioni Opportunistiche di quest'anno (CROI 2020). Questa edizione della conferenza si sta svolgendo in modalità virtuale dopo che è stato deciso di annullare l'incontro degli studiosi di persona a Boston a causa dell'emergenza sanitaria da nuovo coronavirus e sindrome COVID-19.

Nel 2016, l'uomo si era sottoposto a trapianto di midollo osseo per trattare un linfoma usando cellule staminali di un donatore con una resistenza naturale all'HIV. Si tratta di una procedura ad alto rischio, impensabile per le persone con HIV che non necessitano dell’intervento a causa di una malattia oncologica: ciò nonostante, la comunità scientifica sta studiando diversi approcci per replicarne gli effetti utilizzando la terapia genica.

Da quando il paziente ha interrotto le terapie antiretrovirali nel 2017, i ricercatori non hanno più rilevato HIV funzionale nel suo sangue, né nello sperma, nei linfonodi, nel tessuto intestinale o nel liquido cerebrospinale.

Sulla base di modelli matematici, il prof. Gupta ha calcolato che l'uomo ha il 99% di probabilità di restare in remissione a vita se almeno il 90% delle cellule recettive all'infezione da HIV conserveranno la mutazione CCR5-delta-32 ereditata dal donatore, un fenomeno di 'coesistenza pacifica' tra cellule di donatore e ricevente noto come chimerismo. L'ultima volta che l'uomo è stato sottoposto a esami, era stato mantenuto il chimerismo nel 99% delle cellule T periferiche, segno secondo Gupta che "quasi sicuramente" si tratterebbe di una cura. Secondo altri esperti, tuttavia, è necessario che l'uomo trascorra altro tempo senza assumere antiretrovirali prima di poterlo affermare con certezza.

Quando il caso è stato presentato per la prima volta a CROI 2019, l'uomo era noto solo come 'paziente di Londra', ma lunedì ha rivelato la sua identità in un’intervista al New York Times: si chiama Adam Castillejo. Ci sono dunque forti indicazioni che – dopo Timothy Ray Brown, a lungo noto solo come 'paziente di Berlino' – Castillejo sia la seconda persona al mondo a essere stata curata dall'HIV.


Antiretrovirali e aumento di peso, più elevato il rischio di diabete

Antiretrovirali e aumento di peso, più elevato il rischio di diabete

L'aumento di peso che accompagna l’inizio delle terapie antiretrovirali determina con tutta probabilità un rischio più elevato di sviluppare il diabete, mentre non sembra influire sul rischio di malattia cardiovascolare: è quanto emerge dai risultati di due ampie analisi presentate a CROI 2020.

In vari trial randomizzati condotti in Africa sub-sahariana e studi di coorte in Nord America ed Europa si è osservato che, a seguito dell’inizio delle terapie antiretrovirali, si verificano cospicui aumenti di peso soprattutto nelle donne nere e nei pazienti che assumono sia dolutegravir che tenofovir alafenamide (TAF).

Quali siano le ripercussioni di questo aumento, è ancora da chiarire. Un più elevato  indice di massa corporea (body mass index, BMI) è stato associato a un aumentato rischio di diabete e malattia cardiovascolare in alcuni studi – ma non tutti – condotti sia sulla popolazione generale che su quella HIV-positiva. 

I ricercatori hanno ora calcolato l’impatto che l’aumento di peso osservato in concomitanza con l’assunzione di antiretrovirali può avere sul rischio di eventi cardiovascolari o diabete, sulla base di dati ricavati dallo studio ADVANCE e la coorte osservazionale D:A:D, creata per monitorare gli effetti avversi associati al trattamento con antiretrovirali.

In nessuna delle due coorti sono state osservate variazioni significative del rischio di malattia cardiovascolare, mentre è risultato più elevato il rischio di diabete associato all’aumento di peso.

Nello studio ADVANCE, il rischio diabete è aumentato dallo 0,30% allo 0,90% nei pazienti trattati con dolutegravir, TAF ed emtricitabina; dallo 0,30% allo 0,70% in quelli trattati con efavirenz, tenofovir disoproxil fumarato (TDF) ed emtricitabina; e infine dallo 0,40% allo 0,50% in quelli trattati con dolutegravir, TDF ed emtricitabina.

Nella coorte D:A:D, questo rischio è risultato invariabilmente aumentato di 1,5/2 volte, qualsiasi fosse il peso al baseline, in pazienti in cui la massa corporea aumentava di almeno 2kg/m2 (in confronto a quelli in cui il peso si manteneva invece invariato).


La migliore costo-efficacia della formulazione generica di TDF/FTC  per la PrEP negli Stati Uniti

La migliore costo-efficacia della formulazione generica di TDF/FTC  per la PrEP negli Stati Uniti

Secondo uno studio condotto da ricercatori dell’Università di Harvard e presentato a CROI 2020, i costi extra che il sistema sanitario statunitense dovrebbe sostenere per un nuovo farmaco di marca per la PrEP al posto della vecchia versione (il cui prezzo è presto destinato a calare) non sono giustificabili, a fronte di effetti collaterali solo minimamente meno pesanti.

Lo studio DISCOVER ha messo a confronto due combinazioni di farmaci impiegabili per la PrEP: quella prescritta generalmente, composta da tenofovir disoproxil fumarato (TDF) ed emtricitabina (FTC) e commercializzata col nome Truvada, e una di più recente introduzione, a base di tenofovir alafenamide (TAF) ed emtricitabina e commercializzata con il nome Descovy. Dall’analisi è risultato che le due combinazioni avevano profili equivalenti in termini di sicurezza ed efficacia, ma con il Truvada si osservava un’alterazione della funzionalità renale.

Essendo un nuovo farmaco, Descovy è ancora coperto da brevetto e costa all’incirca 16.000 dollari l’anno negli Stati Uniti. Invece il brevetto per i principi attivi contenuti nel Truvada, TDF e FTC, è già scaduto nella maggior parte dei paesi del mondo e negli Stati Uniti scadrà alla fine del 2020. E le formulazioni generiche costano tra i 210 e i 720 dollari l’anno.

La dott.ssa Rochelle Walensky e colleghi hanno messo a punto un modello per l’analisi di costo-efficacia con cui hanno calcolato i costi di ogni effetto collaterale evitato se si impiegasse Descovy per la PrEP al posto del TDF/FTC generico. Nell’elaborazione del modello sono stati deliberatamente inclusi una serie di  presupposti a favore di Descovy, per esempio che il nuovo farmaco non avesse effetti collaterali e che quelli della combinazione TDF/FTC fossero invece sottostimati.

Anche così, secondo il modello, adottando Descovy anziché il TDF/FTC generico allo scopo di evitare effetti collaterali i costi da sostenere sarebbero di gran lunga più elevati rispetto a quanto può essere considerato conveniente in termini di costo-efficacia per il sistema sanitario statunitense. Se il costo del TDF/FTC scendesse del 50% arrivando a 8300 dollari l’anno, il prezzo massimo che varrebbe la pena di pagare in più per Descovy sarebbe di 8670 dollari l’anno – solo 370 dollari in più.

Walensky ha sottolineato tutto il potenziale insito nella maggiore disponibilità della PrEP se i costi saranno ridotti: “Il fatto che il TDF diventerà un farmaco generico rappresenta una fantastica opportunità per rendere disponibile questo metodo di profilassi così efficace a una quantità di persone sempre maggiore.”


Denton Callander durante il suo intervento a CROI 2020.
Denton Callander durante il suo intervento a CROI 2020.

Australia, diminuisce di tre quarti l’incidenza HIV tra gli uomini gay e bisessuali: e c’è una forte associazione con la TasP

La terapia come prevenzione (treatment as prevention, o TasP), misurata in termini di soppressione virale a livello di comunità, è risultata fortemente associata al cospicuo calo delle nuove infezioni osservato tra uomini gay e bisessuali in Australia, anche prima che fosse disponibile la PrEP. Sono i risultati di uno studio presentato a CROI 2020 dal dott. Denton Callander dell’Università del New South Wales.

Nonostante gli evidenti benefici a livello individuale della TasP (concetto a cui si fa riferimento anche con l’equazione Undetectable = Untransmittable, U=U, ossia “irrilevabile = intrasmissibile”), mancano ancora studi su larga scala che ne valutino l’impatto a livello di comunità con misurazioni dirette dell’incidenza HIV tra gli uomini gay e bisessuali.

Lo studio presentato dal dott. Callander si basa su dati relativi a circa 115.000 uomini gay e bisessuali degli stati australiani del New South Wales e Victoria. Due sono stati i parametri utilizzati per le stime sulla viremia a livello di comunità: i livelli individuali di carica virale rilevati in uomini con HIV e le stime sulla quantità di uomini con infezioni non diagnosticate.

L’incidenza è stata determinata sulla base di test HIV ripetuti nel tempo e le nuove diagnosi formulate in un periodo compreso tra il 2012 e il 2017. La correlazione della viremia a livello di comunità e l’incidenza HIV annuale è stata calcolata sia per il periodo 2012/2015, prima che la PrEP fosse ampiamente disponibile in Australia, sia per il periodo complessivo dal 2012 al 2017.

È stata osservata una forte riduzione della viremia HIV tra gli uomini gay e bisessuali con infezione diagnosticata – dal 17% del 2012 al 4% del 2017 – grazie al maggior numero di persone in trattamento antiretrovirale; la percentuale di uomini con infezione non diagnosticata è invece lievemente diminuita, dall’11% al 9%. Nel complesso, la prevalenza della viremia HIV a livello di comunità per anno è diminuita dal 29% del 2012 al 13% del 2017, mentre l’incidenza HIV è scesa dallo 0,88/100 anni-persona del 2012 allo 0,22/100 anni-persona del 2017.

Dallo studio risulta che il calo della viremia a livello di comunità è fortemente associato con la diminuzione del numero di uomini a cui è stata diagnosticata un’infezione da HIV e che questa associazione esisteva già prima dell’introduzione della PrEP in questi stati.


Slide della presentazione di Ruanne Barnabas a CROI 2020.
Slide della presentazione di Ruanne Barnabas a CROI 2020.

Offerta del trattamento HIV in contesti non-clinici più efficace che in quelli convenzionali per gli uomini in Sudafrica

In Sudafrica è stata condotta una sperimentazione che prevedeva l’inizio immediato delle terapie antiretrovirali il giorno stesso della diagnosi con somministrazione dei farmaci al di fuori dei contesti sanitari consolidati, in un’unità mobile appositamente predisposta sul territorio. Lo studio randomizzato DO ART ha così ottenuto un aumento dei tassi di soppressione virale, soprattutto tra gli uomini.

Nell’Africa sub-sahariana, gli uomini con HIV hanno meno probabilità di avere una diagnosi, di entrare in un percorso di cura e – in certi contesti – di ricevere terapie antiretrovirali. In molti paesi, infatti, l’aggancio alle cure per quanto riguarda gli uomini presenta non poche difficoltà.

Per verificare l’impatto di diversi modelli di intervento per l’offerta di test e trattamento sul territorio, la dott.ssa Ruanne Barnabas dell’Università di Washington e un gruppo di colleghi in Sudafrica e Uganda hanno avviato lo studio DO ART (Delivery Optimization for Antiretroviral Therapy), in cui stati messi a confronto tre diversi approcci per l’offerta di test e trattamento: la procedura convenzionale nel contesto clinico, l’offerta di test e trattamento in un contesto non-clinico, e infine un modello ibrido, che prevedeva l’inizio del trattamento antiretrovirale in un contesto clinico e le successive somministrazioni di farmaci presso centri attivi sul territorio.

Dopo 12 mesi è stato osservato un tasso di soppressione virale più elevato nei partecipanti randomizzati per ricevere l’offerta di test e trattamento nel contesto non-clinico (il 74%, contro il 63% del braccio standard). Entrambi i modelli non convenzionali di erogazione di test e trattamento sono poi risultati superiori  a quello del tradizionale contesto clinico in Sudafrica per quanto riguarda gli uomini in particolare (72% del braccio non-clinico e  65% di quello ibrido contro il 51% del braccio standard).

I due modelli non convenzionali hanno inoltre mostrato di annullare le differenze tra donne e uomini in termini di risposta virale in tutta la popolazione coinvolta nello studio.


Farmaci iniettabili long-acting, testata la somministrazione bimestrale

Farmaci iniettabili long-acting, testata la somministrazione bimestrale

Una combinazione di due farmaci a lunga durata d’azione somministrati per via iniettiva solo una volta ogni due mesi ha mostrato un’efficacia nella soppressione della carica virale HIV paragonabile a quella delle iniezioni mensili, stando a uno studio presentato a CROI 2020.

Poter assumere i farmaci soltanto ogni due mesi è sicuramente più comodo e potrebbe dare benefici in termini di aderenza terapeutica. Nello studio presentato alla Conferenza, tuttavia, i pazienti trattati con questo tipo di regime sono risultati più soggetti allo sviluppo di farmacoresistenze se non riuscivano a mantenere soppressa la carica virale.

La combinazione long-acting composta da cabotegravir più rilpivirina è oggetto di studio ormai da svariati anni. Essendo stato osservato che i livelli di farmaco si mantenevano sufficienti nell’organismo per oltre un mese, i ricercatori hanno iniziato a sperimentare la somministrazione a frequenza bimestrale.

Questo nuovo studio, denominato ATLAS-2M, ha coinvolto 1045 partecipanti randomizzati per ricevere iniezioni di 600mg di cabotegravir e 900mg di rilpivirina una volta ogni due mesi (522 persone) oppure 400mg di cabotegravir e 600mg di rilpivirina una volta al mese (523 persone).

Dopo 48 settimane di trattamento continuavano ad avere una carica virale irrilevabile il 94,3% dei partecipanti del braccio di sperimentazione (quello con somministrazione bimestrale) contro il 93,5% del braccio di controllo (con somministrazione mensile).

Tuttavia, in otto individui (1,5%) del braccio di sperimentazione e in due (0,4%) del braccio di controllo si è osservato un fallimento virologico confermato (intendendo con questo termine due successive rilevazioni di viremia superiore alle 200 copie/ml), e nel braccio di sperimentazione si è osservata anche più frequentemente l’emergenza di mutazioni di farmacoresistenza. 

Il trattamento è risultato comunque in linea generale sicuro e ben tollerato, e l’effetto collaterale più comune è stata una reazione locale nel punto di iniezione. Quasi tutti i partecipanti hanno riferito di preferire la somministrazione per via iniettiva a quella giornaliera per via orale.

Da questi risultati si evince che il regime a lunga durata d'azione con cabotegravir e rilpivirina potrebbe essere un’interessante opzione terapeutica, sebbene l’aumentata probabilità di farmacoresistenze potrebbe destare preoccupazione.


Progetto 'Developing Infrastructure to Promote Quality Health Care'. Fondazione Infanzia del Baylor College of Medicine, Malawi / Robbie Flick. Licenza Creative Commons.
Progetto 'Developing Infrastructure to Promote Quality Health Care'. Fondazione Infanzia del Baylor College of Medicine, Malawi / Robbie Flick. Licenza Creative Commons.

Lesotho, buona la ritenzione in cura anche con ritiro farmaci ogni sei mesi

Distribuire gli antiretrovirali a pazienti in soppressione virale ogni sei mesi è efficace quanto farlo ogni tre, stando ai risultati di uno studio condotto in Lesotho. Comparando i pazienti che si recavano a ritirare i farmaci ogni sei mesi in un punto di erogazione attivo sul territorio con quelli in carico presso una struttura medica o comunque afferenti a centri dove era offerto sostegno per rafforzare l’aderenza terapeutica, non sono state rilevate differenze in termini di probabilità che qualcuno smettesse di presentarsi.

Dover andare meno frequentemente a ritirare i farmaci potrebbe dunque essere un incentivo per i pazienti in trattamento stabile a restare in cura e a mantenere l’aderenza terapeutica.